sabato 11 settembre 2010

DIFFERENZA ECONOMICA TRA LO STRAORDINARIO E L'ORARIO PLURISETTIMANALE

Per capire quanto si perde facendo l’orario plurisettimanale al posto dello straordinario, può essere utile questo esempio. Si immaginino due operai diversi, Pinco & Pallino, e si immaginino anche i mesi di soli 28 giorni, ovvero quattro settimane nette. L’operaio Pinco lavorerà due mesi a orario plurisettimanale, Pallino a orario normale. Il primo mese Pinco, dovendo fronteggiare il picco di lavoro dell’azienda, lavorerà tutti i 28 giorni, cioè 5 giorni a paga normale e due a paga plurisettimanale, per quattro settimane di fila. Alla fine del mese avrà lavorato 160 ore normali (8 ore al giorno per 5 giorni per 4 settimane) più 64 ore plurisettimanali (8 ore al giorno per 8 giorni, ovvero i sabati e le domeniche di 4 settimane. L’YKK, ovviamente, non chiede di lavorare la domenica, mentre al sabato vuole solo 6 ore, ma per capire la differenza economica l’esempio va bene lo stesso). Il secondo mese Pinco, dovendo recuperare le ore plurisettimanali, lavorerà solo dal lunedì al mercoledì. Giovedì e venerdì se ne starà a casa percependo come paga le 64 ore plurisettimanali fatte il mese scorso. Alla fine, la paga dei suoi due mesi, ipotizzando un III Livello e Quattro Scatti di Anzianità, cioè 8,9971 euro all’ora, arrotondati a 9, sarà di 9 euro per 320 ore, ovvero 2880 euro. A questa cifra va aggiunta la maggiorazione del 25% per le 64 ore plurisettimanali. Tale maggiorazione ammonta a 144 euro (9×64= 576. E il 25% di 576 è 144). La paga finale sarà dunque 3024 euro lorde per due mesi.

Pallino, invece, dovendo fronteggiare con orario normale il picco dell’Azienda, lavorerà 320 ore normali (160 per due mesi) più 64 ore straordinarie il primo mese. La sua paga sarà di 3744 euro lorde, cioè 2880 euro più 64 ore straordinarie pagate il 50% in più. E 64 ore straordinarie al 50% fa 864 euro ( 9×64= 576 più il 50% di 576 e cioè 288 ovvero 864). Come si vede l’operaio a paga plurisettimanale ci perde 720 euro. Ed è una perdita netta visto che gli straordinari non sono tassati. Per chi ha un livello superiore al III, la perdita è ancora più secca, per chi l’avesse inferiore, invece, un po’ meno brusca.

È vero che l’operaio a paga normale, per avere 720 euro in più, fa anche 64 ore in più di lavoro, ma è vero che le fa in maniera più regolare. Inoltre, da quando è stata istituita la banca ore per tutte le ore dello straordinario, nulla vieta all’operaio a paga normale di farsi pagare solo la maggiorazione del 50% e di tenersi buone le ore fatte in più come futuri permessi in caso di calo di lavoro, proprio come avesse fatto un orario plurisettimanale al 50%. Insomma, l’Azienda potrebbe ottenere lo stesso effetto dell’orario plurisettimanale, senza bisogno di accorciare la paga. Sennonché, senza accorciare la paga, non potrebbe alzare il profitto. Ed è per questo che vuole l’orario plurisettimanale, mica per evitare la cassa integrazione ai lavoratori. La preoccupazione dei lavoratori in cassa integrazione non l’ha mai sfiorata manco di striscio. Se così non fosse, infatti, in cassa integrazione, nel 2009, ci sarebbe finita lei e tutta la dirigenza, non solo gli operai. Naturalmente, la dirigenza non poteva mettersi in cassa integrazione: come può, infatti, venire a mancare il lavoro a chi in fondo non l’ha mai fatto?

È importante ancora osservare come l’operaio al lavoro, con l’orario plurisettimanale, entri sempre più in fabbrica solo quando c’è da tirarsi il collo, senza più avere la gratificante sensazione, che ha nei momenti di calo, di essere pagato per fare più o meno un tubo come lor signori. La concentrazione dello sfruttamento aumenta del 200%. Lo stress del 400%. Solo la paga resta pressoché uguale, perché l’operaio non ha più nemmeno l’occasione di raggranellare qualche briciola in più, con qualche ora di straordinario. Con l’orario plurisettimanle, inoltre, gli operai vengono divisi nel momento migliore per eventuali scioperi. Con mezza fabbrica a casa e mezza al lavoro, diventerà improponibile anche solo indire un’assemblea. Il vantaggio per l’Azienda è totale e assoluto sotto tutti i punti di vista. Lo svantaggio per i lavoratori, non lo vede solo chi è talmente miope da rasentare la cecità.

La vecchia volpe che si nasconde dietro l’YKK, naturalmente, spiega che solo così si può evitare la cassa integrazione. Già solo il fatto che si presenti l’orario plurisettimanale nell’interesse del lavoratore, dovrebbe far drizzare subito le antenne a qualunque operaio. Solo un’azienda che abbia il coraggio di parlare nel suo interesse, è vagamente credibile. Siccome un simile coraggio non ce l’ha praticamente nessun padrone, che deve sempre mascherarsi da benefattore filantropo delle genti salariate, ogni volta che aprono bocca è sempre contro gli interessi dei lavoratori.

Nel caso specifico, la falsità dell’assunto si scopre facilmente. L’azienda, infatti, parla di calo di lavoro, di crisi ed eventuale cassa integrazione come fossero semplici questioni meteoropatiche. Non sono le stagioni dell’anno a mettere in cassa integrazione i lavoratori, ma quelle epocali dello sfruttamento. Calo del lavoro, infatti, vuol dire calo della produzione e quindi delle vendite. Prima che dalle sgangherate previsioni del tempo della Direzione, le vendite sono regolate dal consumo, e il consumo è regolato dalla disponibilità economica dei lavoratori. Senza trovare sul mercato una parte del salario d’un operaio che si ricompra la cerniera che ha prodotto, il rischio di crisi aumenta per l’YKK come per ogni altra azienda. La crisi devastante del 2008, come tutte le crisi capitalistiche, è dovuta solo a questo, alla polarizzazione della ricchezza: troppi profitti accumulati da una parte, troppa miseria accumulata dall’altra. Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con l’economia, può facilmente constatare, dati alla mano, che all’apice della crisi, c’è stato un accumulo di profitti senza precedenti nella Storia. Solo in Italia negli ultimi 30 anni, 120 miliardi di reddito, sono passati dalle tasche dei lavoratori a quelle dei padroni. 7000 euro in meno all’anno ha ogni operaio in busta paga. La crisi sta tutta qua. Altro motivo per la cassa integrazione, speculazione sui soldi pubblici a parte, non c’è.

Nel sistema capitalistico è impossibile evitare le crisi, che sono un fenomeno ricorrente, ma quanto più alto è il salario, meno brusche sono le crisi e più rapide sono le successive riprese. Inoltre, più è alto il salario, più l’operaio è in grado di difendersi dalla crisi con quel poco che è riuscito a raggranellare prima del suo avvento. Accettando di schiacciarsi il salario per paura di finire in cassa integrazione, l’operaio non fa che accelerare i tempi in cui ci finirà dentro senza neanche due soldi di salvataggio messi in saccoccia prima. Non è un caso, infatti, che gli economisti più illuminati, per esempio il pedante Paul Krugman1, vedendo come si stia cercando di uscire dalla crisi comprimendo i salari, lancino l’allarme contro il rischio sempre più alto che la crisi si avviti su sé stessa. Naturalmente, idioti come sono praticamente tutti gli economisti moderni, compresi quelli più illuminati, lanciano allarmi a Governi e Stati, cioè ai padroni, nella vana speranza che siano loro stessi ad alzare i salari. Ma quando mai? Fino a che i salari non si alzeranno da soli, sotto la spinta cioè dei salariati, i governi non li alzeranno di un centesimo. E i lavoratori si alzeranno da soli la paga, quando abbasseranno contemporaneamente i Paul Krugman, dal ruolo di inutili tromboni saliti in cattedra, a quello di semplici bidelli ignoranti le più elementari leggi economiche della lotta di classe.

Se perciò un operaio ha dei dubbi su cosa fare, quando non riesce a capire se una determinata scelta lo metta al riparo dai rovesci della crisi e della cassa integrazione, guardi sempre la busta paga: non c’è miglior bussola per lui. Se vede alzarsi la paga, stia relativamente tranquillo, perché le nuvole della crisi si allontanano; se invece la vede abbassarsi, si prepari perché quelle stesse nuvole si fanno nere e minacciose, e la catastrofe si avvicina più rapida della luce.



Nota – Ho spiegato come il pericolo di cassa integrazione aumenti di pari passo con l’accorciamento della paga, in uno degli ultimi incontri con la Direzione. La Direzione aveva preparato un terrificante schemino alla lavagna, per mostrare, in maniera pilotata, come l’operaio che avesse accettato l’orario plurisettimanale fosse avvantaggiato rispetto a chi l’avesse rifiutato. Lo schemino altro non era che un’esca per prendere all’amo le 6 componenti la RSU. Inutile dire che 5 abbiano abboccato subito. La sesta, che credeva d’essere al tavolo con la Direzione, ha scoperto così di essere in realtà al banco dei pesci!

Racconto questo episodio in nota più che altro perché gira voce che io negli incontri con la Direzione non apra mai bocca. Naturalmente, non è assolutamente vero. Mi limito a dire le uniche cose essenziali e furbe che vadano dette, senza prestarmi al ruolo di marionetta nell’interminabile messinscena di parole fumose e vuote della Direzione. Quel poco di essenziale che dico, inoltre, non lo dico per la Direzione, ma per la comprensione della RSU (se solo facesse lo sforzo di comprendonio) e quindi dei lavoratori. Della comprensione della Direzione, come del dialogo con essa, infatti, poco o nulla me ne cale, tanto più quando il dialogo è completamente finto.


1 Trovate i suoi articoletti in quel gazzettino di provincia che si chiama Internazionale. Se avete la tessera del Circolo Arci di Vercelli, potete pure leggerlo a scrocco come faccio io, risparmiando i soldi per una rivista che non ha affatto il valore che sbandiera!